RASSEGNA STAMPA

LIBERAZIONE - Diaz, il celerino non vide, non sentì, non parlò. Promosso

Genova, 21 luglio 2009

Assolti gli alti gradi della polizia per il pestaggio
Diaz, il celerino non vide, non sentì, non parlò. Promosso

Lorenzo Guadagnucci

Oggi, a pochi mesi di distanza dalla sentenza che nel novembre scorso condannò 13 funzionari, mandando assolti altri 16 imputati, in particolare quelli di livello gerarchico più alto, il processo Diaz è associato nella memoria dei più al grido di "Vergogna vergogna" che si levò dallo spazio riservato al pubblico, occupato per la verità da un numero piuttosto esiguo di persone. Quel grido dava voce alla delusione per un verdetto che pareva ridimensionare la gravità dei fatti - un brutale pestaggio, 93 arresti arbitrari, una lunga serie di falsificazioni - e che metteva in salvo proprio quei dirigenti che avevano goduto delle maggiori protezioni istituzionali, rese tangibili dalle importanti promozioni ottenute dopo il luglio 2001 nonostante lo scempio dei corpi e delle leggi compiuto dalla polizia di stato nella notte fra il 21 e il 22 luglio 2001. E tuttavia è assai probabile che fra qualche tempo, chi andrà a riconsiderare sul piano storico il primo decennio degli anni Duemila, si avvicinerà al "caso Diaz" osservando i documenti non altri occhi. La sentenza del tribunale, mentre salvava i vari Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, Giovanni Luperi, per citare i dirigenti di grado più alto e tuttora al vertice della polizia, metteva nero su bianco considerazioni pesantissime sull'operazione condotta dalla medesima polizia: "Quanto accadde all'interno della scuola Diaz - vi si legge - fu al di fuori di ogni principio di umanità, oltre che di ogni regola e di previsione normativa...". E più avanti: "In uno stato di diritto non è accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell'ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tale entità". Sul piano processuale, i dirigenti se la sono cavata perché il tribunale ha accettato la tesi che furono tratti in inganno dai loro sottoposti, che riferirono di una resistenza violenta opposta dagli ospiti della scuola e che due molotov erano state trovate su un tavolino all'ingresso della struttura. I dirigenti imputati - in pratica il "gotha" della polizia investigativa italiana - avrebbero creduto a queste due "verità", per quanto poco verosimili a fronte di decine di persone uscite sanguinanti e con le ossa a pezzi dalla scuola. Ma tant'è: Gratteri, Caldarozzi, Luperi e alcuni altri hanno preferito fare la figura degli ingenui, professionalmente umiliante e anche un po' grottesca per dirigenti di tanta esperienza, piuttosto che affrontare il tribunale, rispondere alle domande dei pm che avevano dimostrato la natura menzognera di quei fatti e assumersi per intero le proprie responsabilità. Diciamo così: il processo Diaz ha gettato un formidabile fascio di luce sui rapporti di potere all'interno delle istituzioni nazionali, fornendo anche una riprova - drammatica - della poca capacità dello stato di tutelare le garanzie costituzionali per i semplici cittadini, quando la "controparte" indossa una divisa. E' per questo motivo che Checchino Antonini, giornalista di Liberazione , Francesco Barilli, mediattivista e curatore del sito "Reti-Invisibili", Dario Rossi, avvocato del Genoa Legal Forum, hanno fatto molto bene a dedicare un libro - "Scuola Diaz: vergogna di stato", pubblicato dalle Edizioni Alegre (199 pagine, 16 euro) - che "spiega" e rende quindi accessibile un documento fondamentale come la requisitoria dei due pm che hanno sostenuto la pubblica accusa con coraggio e grandissimo impegno, Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini. I pm hanno ricostruito i fatti della "notte cilena" con la massima precisione, consegnando al tribunale e al paese un documento che mette nero su bianco una "verità storica" che va oltre la vicenda giudiziaria. Per sapere dettagliatamente che cos'è accaduto quella notte alla scuola Diaz e alla scuola Pertini, per ricostruire gli ostruzionismi e le menzogne opposti all'indagine dalla polizia di stato, per comprendere come l'assoluzione processuale non cancelli affatto le responsabilità morali e professionali per quanto avvenuto, il documento dei pm è il riferimento fondamentale. Il testo di Zucca e Cardona Albini è un potente atto d'accusa non soltanto contro gli abusi e gli arbitri compiuti nella scuola, ma anche verso l'omertà dei vertici di polizia e la loro scelta di contrapporsi - di fatto - alla magistratura. Sullo sfondo resta il potere politico, che ha spalleggiato il vertice di polizia, senza mai rinnegare l'operazione Diaz, né chiedere scusa alle vittime del blitz e alla cittadinanza. Nelle conclusioni Antonini, Barilli e Rossi osservano giustamente che l'ultima delle promozioni accordate agli imputati del processo Diaz è arrivata addirittura dopo la sentenza, con l'ascesa alla direzione nazionale antidroga, nonostante i due anni inflitti dal tribunale, di Michelangelo Fournier, il funzionario che definì la notte alla Diaz "una macelleria messicana". "Questo ultimo, vergognoso avanzamento di carriera - scrivono gli autori del libro - al pari delle promozioni di tutti gli altri funzionari, dimostra in modo evidente che chi guidò le forze dell'ordine la notte del 21 luglio 2001, stava facendo esattamente quello che gli era stato chiesto di fare, stava obbedendo a degli ordini. Questa prova di fedeltà allo stato, o meglio al potere autoritario dello stato, è stata premiata". E questa è un'ipoteca sul futuro della democrazia italiana.